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Writer's picturePasquale Puleo

Il Lungo Viaggio

Era la mattina del 5 Aprile 1966 quando partii nel buio per il lungo viaggio in America. Era di nascosto come per evitare gli sguardi dei vicini.


Infatti, quando si lascia il paese di nascita per cercare una vita migliore, si fa’ per necessita’, perche’ un uomo non c’e’ la fa’ piu’ a portare avanti la famiglia. E’ come un fallimento e quasi una vergogna per non essere riuscito a sfamare moglie e figli.


Cosi’ fu’ per mio padre, esperto muratore e grande lavoratore, che non riusciva a trovare un lavoro fisso. Magari si chiedeva, “Come faccio a portare avanti una famiglia senza lavoro ?”


Un giorno qualunque sotto il cielo scottante della Sicilia, quando arrivò la lettera per presentarci all’ambasciata americana di Palermo per l’emigrazione a Boston nella primavera del 1965, mia madre era tutta sorridente. Era alla sua quarta gravidanza e, col viso splendente di una mamma, aspettava la nascita di Esmeralda, la sua seconda figlia. Magari, rifletteva, “C’e’ l’abbiamo fatta. In America tutto andra’ bene!”


Il desiderio di mamma divento’ concreto e, nel buio del 5 Aprile 1966, con una macchina nera privata che non era un taxi e senza salutare i vicini di casa, la fuga verso l’aeroporto Fontanarossa di Catania comincio.’


Il percorso aeroporti Fontanarossa-Fiumicino-Logan era tutto prestabilito ma per me fu’ un sogno. La sera prima, di nascosto, Graziella, il mio amore platonico, attraverso la sorella più piccola mi aveva fatto recapitare un braccialetto con una piccola nota scritta con la sua semplice calligrafia, “ Torna presto. Ti amo.” Il mio corpo era in partenza ma il mio spirito rimase nella mia terra.


Cosi’ fu’, con Esmeralda, l’ultima arrivata, Mimma, la prima sorella, il secondogenito, Giuseppe, mio fratello, mio padre e mia madre, all’alba del 5 Aprile 1966, mi trovai in altitudine con un aereo Alitalia a sorvolare il cratere bollente dell’Etna che avevo conosciuto da piccolo col mio sguardo come una montagna coperta di neve e che, nei giorni sereni, sopraggiava ultimo punto dell’orizzonte dal mio paese.


Il viaggio oltreoceano, Fiumicino-Logan, con mio padre che si toccava spesso la tasca della giacca per paura di non perdere i documenti dell’immigrazione e mia madre che accucciava la piccola Esmeralda con lo sguardo ansioso di Mimma, fu’ un lungo respiro. Niente si muoveva. Neanche le nuvole che impedivano uno sguardo sull’ Oceano Atlantico. Passai il tempo a giocherellare con la prese d’aria e con la trepidazione di mettere piedi sulla terra ferma.


Circolando il cielo di Boston prima dell’atterraggio sulla pista di Logan rimasi stupito dai colori delle piccole casette e dall’ordine delle lunghissime strade. L’immensita’ degli spazii scosse il mio spirito. Finalmente andavo a vivere in una grande citta’. (1) (2) (3)


Atterrammo quasi vicini alla baia di Boston e per arrivare al terminal dell’aeroporto c’era un lungo percorso da fare a piedi. Appena scesi dalle scalette dell’aereo, un uomo di alta statura e con un’ elegante divisa si avvicinò a mia madre. Con un sorriso tenero e con grande gentilezza, l’uomo imponente accolse la piccola Esmeralda nelle sue braccia. Esausta e strafatta, mia madre l’accompagno’ nelle braccia del funzionario dell’immigrazione con tutta la fiducia materna.


Mi dissi, “ Qui’ sicuramente potro’ realizzare i miei desiderii. Mi sentivo libero, leggero e capace di volare all’infinito.


Cosi’ comincio’ il mio sogno. Non so’ quando mi risvegliero’.


(1) Per tutti i ragazzi italiani che nascono in piccoli paesi e’ un sogno poter andare a vivere in citta’.

(2) Anche un tema svolto da Adriano Celentano nella sua canzone, ‘Il Ragazzo della Via Gluck.’

(3) La canzone, ‘Il Ragazzo della Via Gluck,’ divento’ famosa a Febbraio del 1966.


It was the morning of April 5, 1966, when I left in the dark for the long journey to America. I left secretly as if to avoid the gazes of the neighbors.


In fact, when one leaves the country of birth to seek a better life, the impression is that it is done ‘out of necessity’ because a man can no longer carry on the family. It is like a failure and almost a shame for not being able to feed his wife and children.


So it was for my father, an expert bricklayer and hard worker, who couldn’t find a steady job. Perhaps he wondered, “How will I manage to support my family without a job?”

On an ordinary day with a scorching Sicilian sky, a letter arrived in the spring of 1965 to invite us to the American embassy in Palermo for emigration to Boston. My mother was all smiling. She was in her fourth pregnancy, and with the shining face of a mother, she was expecting the birth of Esmeralda, her second daughter. Maybe, she was reflecting on, “We did it. In America, everything will be fine! ”


Mom’s wish became concrete and, in the darkness of April 5, 1966, with a private black car that was not a taxi and without saying goodbye to the neighbors, the ride to Catania’s Fontanarossa airport began.


The route between the Fontanarossa/Fiumicino/Logan airports was predetermined, but it was as if it was a dream. The night before, in secret, Graziella, my platonic love, through her younger sister, had sent me a bracelet with a small note written in her simplest handwriting, “Come back soon. I love you.” My body was taking off, but my spirit remained in my land.

So it was. Esmeralda, the latest arrival, Mimma, the first sister, the second son, Giuseppe, my brother, my father and my mother, at dawn on April 5, 1966, I found myself at altitude with an Alitalia plane in flight over the boiling crater of Etna. As a child, I had known this mountain as always being snow-covered. On clear days, it was the last point on the horizon from my village and an impossible destination.

The trip overseas, Fiumicino-Logan, with my father, who often touched his jacket pocket for fear of not losing immigration documents, and my mother, who nourished little Esmeralda on her lap with Mimma’s constant gaze for attention, was a long breath. Nothing moved. Not even the clouds that prevented a look at the Atlantic Ocean. I spent my time fiddling with the air intakes and with the trepidation of putting my feet on dry land.


Circulating the Boston sky before landing on the Logan runway, I was amazed by the colors of the tiny houses and the order of the perpendicular streets. The immensity of the spaces shook my spirit. I was finally going to live in a big city. (1) (2) (3)


We landed near the Bay of Boston, and there was a long way to walk to get to the airport terminal. As I got off the plane’s steps, a tall man in an elegant uniform approached my mother. The imposing man welcomed little Esmeralda into his arms with a tender smile and great kindness. My mother accompanied her into his arms with all her maternal trust.


I said to myself, “Here, I will surely be able to fulfill my wishes.”


I felt free, light, and able to fly endlessly.


This is how my dream began. I don’t know when I will wake up.


PASQUALE PULEO, May 08, 2022

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