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La Felicita' Smarrita

Non era facile vivere a quei tempi. Mi ricordo che si soffriva molto. Eppure si era soddisfatti della vita. A volte anche felici. Erano tempi di guerra. La gente lavorava nei campi, come sempre. Partivano la mattina prima che il sole s’affacciasse su dalle colline. Non si lamentavano. Si godevano dolcemente la brezza mattutina, chiacchierando per la via, a volte con altri contadini, altre volte, con se stessi.E si’, anche se non si rivela apertamente, si e’ contenti a conoscere quel tratto di strada campestre, quelle colline, quegli alberi, come se fossero vivi e parte di se stessi. C’e’ un affetto profondo e sconosciuto che lega i miei contadini alla loro terra. E’ un legame che sembra unirli all’eternità.


Il giorno lavoravano sotto il sole siciliano posando ogni tanto la loro zappa per dare uno sguardo intorno alla natura. Era il loro colloquio silenzioso con le cose regalategli da Dio. Bevevano da una sorgente d’acqua che sbocciava dalle rocce cosi’ fresca e cosi’ limpida da fare gioire i loro cuori con tenerezza. Al suono dei dodici tocchi della campana, si riposavano. Prendevano in tozzo di pane, un po’ di formaggio, e appoggiandosi al tronco di un albero, si godevano il fresco sorseggiando un po’ di vino. Alcuni passerotti si avvicinavano come sempre a spartirsi le molliche con la contentezza dei contadini per l’insolita compagnia.


Tornavano la sera verso l’imbrunire, al chiaro di luna, col canto delle lucciole. Appena entrati al paese, non dimenticavano gli amici. Gridavano, “Bona sira, cumpari!” Rispondevano quelli in casa, con soddisfazione e orgoglio, “Bona sira, cumpari!


Stanchi lo erano certamente, ma anche soddisfatti e felici. A casa, la cena calda li aspettava. I figli, tutti raccolti attorno al tavolo, non toccavano il cucchiaio fino a quando papa’ si sarebbe seduto, fatta la croce, e messo in bocca il primo boccone. Dalle parti nostre era un dovere. Come dicevano gli antichi, “Rispetto e’ quello che ci vuole!” Era un ritmo di vita che continua tutt’oggi.


Ero piccola a quei tempi. Mio padre era partito per la guerra e non era più tornato. Non l’avevo mai conosciuto. Si vede che ero troppo piccola per potermelo ricordare. Ero ‘in fasce’ mi diceva mia madre.


Vivevamo in una casetta all’inizio del villaggio. Guardava verso la valle verde, il fiume, e le colline. D’inverno potevamo ascoltare dolcemente la pioggia che sulle tegole scivolava con tenerezza.Quando cadeva la neve, i passeri si soffermavano vicino alla finestra, intirizziti. Mi facevano pena e, allo stesso tempo, tenerezza. Intirizzivo anch’io. Prendevo del pane e glielo spargevo. Me ne stavo li’, per ore, a guardarli. Pero’, c’era la guerra e il pane contava più’ del solito. Erano guai se mamma se ne fosse accorta. Era lei che doveva sgobbare per guadagnare un po’ di pane. Il mercato nero non offriva molto. Si andava avanti con quello che dava la terra torrida. Mamma la zappava, in mancanza di papa’. “Quanto coraggio!” Tornava cosi’ stanca e si abbracciava confortandosi con me.


Vennero i tempi più brutti. Le battaglie si avvicinavano sempre di più al mio paese. La sera non potevamo neppure accendere le candele. Gli aerei sorvolavano sul villaggio bombardando le vicine campagne poiché li v’era un fortino su un picco che poteva sorvegliare le vicinanze delle navi nemiche.


Fu una di quelle sere che divenni donna. Stavo crescendo ma ero ancora bambina. Mamma s’era ritirata stanca. Il viso era pallido. Le chiesi, “Mamma, stai male?” Non mi rispose. Forse sapeva. Rimasi silenziosa. Andammo a letto presto. Il silenzio era interrotto dalle esplosioni lontane. Poi fu mamma a interrompere il silenzio. Tossiva. Tossiva. Non voleva svegliarmi. M’accorsi che sputava sangue.Piangevo silenziosamente. Non volevo farmene accorgere. Poi, non tossi più. Mi girai. La chiamai, ‘Mamma!” Non rispondeva. Dormiva. Dormiva nel suo sonno eterno.


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It wasn’t easy to live in those times. I remember that we were in a lot of pain. Yet he was satisfied with life. Sometimes even happy. They were war times. People worked in the fields, as always. They left in the morning before the sun peaked over the hills. They didn’t complain. They gently enjoyed the morning breeze, chatting along the way, sometimes with other farmers, other times with themselves. And yes, even if it is not revealed openly, one is happy to know that stretch of country road, those hills, those trees, as if they were alive and part of themselves. A deep and unknown affection binds my farmers to their land. It is a bond that unites them for eternity.


During the day, they worked under the Sicilian sun, occasionally putting down their home to look around at nature. It was their silent conversation with the things given to them by God. They drank from a spring of water blooming from the rocks so fresh and clear that it made their hearts rejoice with tenderness. At the sound of the twelve strokes of the bell, they rested. They took a piece of bread and a little cheese and, leaning against the tree trunk, enjoyed the fresh air while sipping a little wine. Some sparrows came closer, as always, to share the breadcrumbs with the farmers’ happiness for the unusual company.


They returned in the evening around dusk, in the moonlight, with the singing of the fireflies. They remembered their friends as soon as they entered the town. They shouted, “Bona sira, cumpari!” Those at home replied, with satisfaction and pride, “Bona sira, cumpari!


They were undoubtedly tired but also satisfied and happy. At home, a hot dinner was waiting for them. The children gathered around the table and did not touch the spoon until Dad sat down, crossed himself, and put the first bite into his mouth. On our part, it was a duty. As the ancients said, “Respect is what is needed!” It was a rhythm of life that continues today.


I was little at the time. My father had left for the war and never returned, and I had never met him. I was too young to remember it. I was ‘in diapers,’ my mother told me.

We lived in a small house at the beginning of the village. He looked towards the green valley, the river, and the hills. We could softly listen to the rain sliding tenderly on the tiles in winter. When the snow fell, the sparrows lingered near the window, numb. They made me feel sorry for them and, at the same time, tender. I was scared, too. I took some bread and spread it to him. I sat there for hours, watching them. However, there was war, and bread mattered more than usual. There would be trouble if Mum noticed. It was she who had to work hard to earn a little bread. The black market didn’t offer much. We went ahead with what the torrid land gave us. Mum dug it in the absence of Dad. “How much courage!” She came back so tired and hugged herself, comforting me.


The worst times came. The battles were getting closer and closer to my country. In the evening, we couldn’t even light candles. The planes flew over the village, bombing the nearby countryside because there was a fort on a peak that could monitor the vicinity of enemy ships.


It was one of those evenings that I became a woman. I was growing up, but I was still a child. Mom had retired tired. His face was pale. I asked her, “Mom, are you sick?” He didn’t answer me. Maybe he knew. I remained silent. We went to bed early. Distant explosions broke the silence. Then, it was my mom who broke the silence. She was coughing and coughing. Mom didn’t want to wake me. I noticed she was spitting blood. I was crying silently. I didn’t want to be seen. Then, Mom didn’t cough anymore. I turned around and called, ‘Mom!’ She didn’t answer. Mom was asleep. Asleep in her eternal sleep.

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