A Slice of Life

My father had carved out a small balcony that jutted from my mother’s little house, overlooking the small countryside of my town, adorned with sunflowers, poppies, and cherry trees.

It was my favorite refuge. I usually used the windowsill as a desk and cut out the comic book panels my father typically brought me from the city on Saturday evenings. With those clippings, I rearranged and reconstructed the stories in my way.

One way or another, I felt like the architect of the stories and more involved in the plots than Superman ever managed to be. I was inside those stories, and what truly surrounded me didn’t affect me much.

On a beautiful sunny day, I’d open the window, hop over the windowsill, and sit, absorbed in country life. Lizards scurried up the walls, butterflies fluttered among the daisies and sunflowers, and tree branches swayed to the rhythm of gentle breezes, pulling me out of my thoughts.

In the distance, I’d fix my gaze on the young girls taking turns climbing the cherry tree, their movements in sync with the swinging hammock attached to the branch. Their gestures synchronized with the slow movements of the countryside, and their smiles sighed as if they were the earth itself.

My being would escape my body to reach those girls, that cherry tree, and that swing. And my eyes would observe my being in the company of those girls. It was as if time had been suspended, and my being was at peace in that suspended moment.

Le Campagna di Salice

Le Campagne di Salice

Ritaglio di Vita

Mio padre aveva ritagliato un piccolo balcone che sporgeva dalla stanza da letto della casina di mia madre verso le piccole campagne del mio paese rivestite di girasoli, papaveri, e alberi di ciliegi.

Era il mio rifugio favorito. Di solito usavo il davanzale come scrivania e ritagliavo i quadretti dei fumetti che mio padre di solito mi portava dalla città’ il sabato sera. Con quei ritagli, riordinavo e ricostruivo le storie a modo mio.

In un modo o un altro, mi sentivo artefice delle storie e più’ coinvolto negli intrecci di quello che Superman riusciva a fare. Io ero dentro a quelle storie e quello che, in realtà’, mi circondava non mi faceva tanto effetto.

Quand’era una bella giornata di sole, aprivo la finestra, saltavo oltre il davanzale, e mi sedevo sul piccolo terrazzo assorbendo come una spugna il respiro della campagna. Le lucertole che s’arrampicavano sui muri, le farfalle che gironzolavano tra le margherite i e i girasoli, e i rami degli alberi che ondulavano ai ritmi dei venticelli tirandomi fuori dai miei pensieri.

Nella lontananza, fissavo il mio sguardo sulle fanciulle che s’alternavano ad arrampicarsi sul ciliegio con l’ondulare dell’altalena attaccata al ramo. I loro gesti si sincronizzavano ai movimenti lenti della campagna e il loro sorriso sospirava come se fosse la terra stessa.

Il mio essere fuggiva dal mio corpo per raggiungere quelle fanciulle, quel ciliegio , e quell’altalena. E i miei occhi osservavano il mio essere nella compagnia di quelle fanciulle. E fu come se il tempo fosse sospeso e il mio essere felice in quel momento sospeso.